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Arlecchino nasce sotto il segno della stupidità: una stupidità insolente, famelica che si addipana nei fili dell'intrigo dai quali si libera con salti acrobatici e botte alla cieca; così ce lo rappresentano sul finire del secolo due Arlecchini famosi: il Gavazzi e il Martinelli. Nel Seicento, Domenico Biancolelli ne raggentilisce i modi e il costume; i frammenti multicolori si ordinano a losanga, appare il gran colletto bianco e, in egual tempo, la grossolanità facchinesca diventa brio indiavolato, i salti scomposti acquistano ritmo di danza.
Il Goldoni accolse questo tipo già incivilito: il suo Arlecchino ha sempre il desinare come sommo bene, ma se lo sa guadagnare con una arguzia popolare non priva di eleganza.
Nell'Ottocento romantico la nota predominante di Arlecchino non è più il suo appetito ma il suo costume policromo che si allea per contrasto all'idealismo monocorde e sospiroso dei tanti altri personaggi. Il Romanticismo sembra vedere in Arlecchino una possibilità di evadere da se stesso e per questo lo ama, vedendo in lui un bizzarro simbolo di tutte quelle infinite possibilità di essere, di cui con tanta ansia cercava di realizzarne almeno una. (it) |