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La Siria è nel mezzo di un crocevia colmo di tensioni, di contrasti e interessi d’ogni genere. È coinvolta da sempre nei torbidi intrighi libanesi, è nemica storica di Israele, è protettrice degli sciiti di Hezbollah ma diffidente dei palestinesi, è ostile alla Turchia e incerta sulle relazioni con il nuovo Iraq dopo la scomparsa dell’odiato Saddam Hussein. Inoltre è legata alla Russia e alla Cina, che seguitano a proteggerla, e resta al tempo stesso attentissima ai consigli politici e all’influsso religioso dell’Iran, laboratorio nucleare in chiave di monopolio sciita. Il codice, che le grandi potenze rispettano e praticano in politica estera, s’ispira in genere al realismo e al calcolo dei possibili passi falsi: interferire nel caos siriano sarebbe stato, per i più, come infilare la mano fra gli esplosivi di una santabarbara mediorientale.
Ecco perché gli americani, e i loro più stretti alleati, hanno deciso che la cosa migliore era non fare nulla sul piano militare affidando alle sanzioni economiche e al gelo diplomatico il ruolo punitivo, ma non distruttivo, nei confronti di Bashar al Assad. (it) |