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Durante l'appello mi esercitavo immobile a dimenticare me stesso e a non separare l'inspirazione dall'espirazione. E a volgere verso l'alto gli occhi senza sollevare la testa. E a cercare nel cielo l'angolo di una nuvola a cui poter appendere le ossa. Quando avevo dimenticato me stesso e trovato l'uncino celeste, lui mi reggeva. Spesso non c'erano nuvole ma solo un azzurro uniforme, come una distesa d'acqua. Spesso c'era solo una coltre chiusa di nuvole, un grigio uniforme. Spesso le nuvole correvano e nessun uncino si fermava. Spesso la pioggia bruciava negli occhi e mi incollava i vestiti alla pelle. Spesso il gelo mi rosicchiava le viscere. In quei giorni il cielo mi rigirava i bulbi degli occhi verso l'alto, e l'appello li ritrascinava giù – le ossa pendevano senza un sostegno, soltanto in me. (it) |