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Nel giorno dell'esordio dentro la mia divisa un filo troppo grande, con i capelli sbarazzini, sulla passeggiata di cemento che portava dallo spogliatoio al campo io mi sono bloccata. Quelli sul prato improvvisamente non erano più soltanto degli amici ma erano diventati, magia delle magliette ufficiali da partita, i miei compagni e i nostri avversari. Erano tutti maschi ed io mi sono accorta solo in quel momento, per la prima volta , di essere l'unica femmina. Ho puntato i piedi a terra, ho assunto la postura a braccia conserte, tipica di chi non vuol sentir ragioni, e mi sono abbandonata ad un pianto disperato: "io in campo non ci entro". Ci ha provato l'allenatore, "in fondo ti sei sempre divertita" diceva, ma niente da fare. Ero una bambina, avevo i capelli lunghi e non potevo neppure essere confusa con gli altri, tutti avrebbero guardato me e quindi no, nessun dubbio: non avrei giocato. Poi, quando ormai gli altri bambini in campo iniziavano a spazientirsi , è sceso il mio papà. "Non devi avere paura. Pensa a quando giochi giù in cortile. Fidati: è sempre lo stesso identico gioco". Quella partita, dopo aver asciugato i lacrimoni nella manica troppo lunga, l'ho giocata tutta ed è stato l'inizio di una storia d'amore che mi ha portato davvero molto lontano e che non accenna neppure lontanamente ad affievolirsi. (it) |