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La messa in scena della violenza dev'essere funzionale alla storia, mai fine a sé stessa. Per far capire l'efferatezza di un delinquente dobbiamo illustrarne le azioni, badando a evitare il compiacimento. In alcune produzioni televisive o cinematografiche, invece c'è un uso della brutalità insistito, volto ad emozionare gli spettatori. Il rischio è di descrivere i criminali come personaggi interessanti, romantici, i cui valori, per un pubblico semplice, possono persino risultare affascinanti. Nella realtà uno di questi signori si chiamava Totò Riina, il quale non riusciva a coniugare un soggetto con un complemento oggetto ma era perfettamente in grado di ordinare stragi orribili e l'uccisione di bambini indifesi. Julia indagherebbe sul suo luogo di nascita, sui genitori, sull'ambiente in cui è cresciuto, su eventuali soprusi subìti: perché chi patisce violenza spesso esercita a sua volta violenza, in una catena infinita. Ecco, queste sono le storie di malavita che mi piace leggere o vedere sullo schermo. (it) |