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Quando Hugo Wolf leggeva, le parole assumevano una verità prodigiosa; diventavano entità corporee. Invero, si aveva l'impressione che il corpo del lettore si fosse trasformato all'improvviso in un'incarnazione delle parole; come se quelle mani, che noi vedevamo spuntare dall'ombra della stanza, non fossero appartenute più a un uomo, ma alle parole da lui pronunciate... Più tardi, vagando attraverso l'Europa , mi capitò fra le mani il suo libro di Lieder da Goethe. Ricordai tutto, con straordinaria esattezza. Era la medesima cosa. Lo stesso uomo di quelle notti lontane. Come, allora, egli si affondava nell'essenza delle parole quasi fosse l'essenza della sua vita, e come allora, le mani appena illuminate, gli occhi minacciosi non erano più i suoi ma quelli delle parole che altrimenti non avremmo avvertite, così, adesso, era chiaro che quella musica non poteva essere stata "aggiunta" da un uomo, ma apparteneva ai versi per legge naturale e spontanea. Per non averla avvertita anche prima, bisogna dire che il nostro udito fosse imperfetto; poiché essa era stata sempre in quei versi. Wolf non aveva fatto altro che renderla udibile. (it) |