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Il calcio prima di lui non era necessariamente brutto o mediocre. Era, semplicemente, diverso. C'era il Real di Alfredo Di Stéfano, lo squadrone delle cinque Coppe dei Campioni; c'era il Benfica di Eusébio, c'erano Milan e Inter, e proprio il Milan di Gianni Rivera, nella finale del 1969, gliene rifilò quattro. C'erano gli eccessi piccanti di George Best, il quinto Beatle, e poi, d'improvviso, saltò fuori lui, «il profeta del gol», secondo la definizione di Sandro Ciotti. Portava il quattordici, dribblava verticale, in agilità, tirava di destro e di sinistro, s'imboscava e s'impennava. Dava ordini, metteva ordine. Stava nascendo, attorno al suo genio paradossalmente elettrico, il calcio totale. Quel calcio che, all'alba dei Settanta, avrebbe spaccato le convinzioni e demolito le convenzioni. Tutti per uno e uno per tutti. (it) |