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Era gente prima di tutto vivace, amica del buon vivere, erotica, amante di spettacoli e feste, largamente superstiziosa. Bilanciata tra la naturale, ovvia mercantilità di ogni popolazione rivierasca e una certa romantica malinconia suggerita dalla vicinanza dell'orrida e meravigliosa altura vesuviana, si lasciava andare ai sospiri d'amore e di tristezza che abbiamo detto: gli stessi che i napoletani dovevano tradurre in musica e canzoni. In quest'equilibrio quasi perfetto del carattere si insinuava il dilettoso inclinare a ciò che i napoletani odierni chiamano lo «sfottò». I pompeiani adoravano l'aggettivo «azzeccòso», il verso satirico, l'ironia, la battuta. Il maneggio della lingua, la secchezza pungente di alcune epigrafi graffite, appaiono talune volte miracolosi a chi, non napoletano, non sappia come nel popolo odierno queste naturali virtù poetiche e artistiche sono vive e splendide e comprovabili ad ogni quadrivio. (it) |