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Figuratevi un po' della desolazione di Tiro e di Babilonia, cui accenna la Scrittura; un silenzio e una solitudine vaste come il rumore e il tumulto degli uomini che un tempo calpestavano questo suolo. Si crede di udirvi risuonare la maledizione del profeta: Venient tibi duo haec subito in die una, Sterilitas et viduitas. Qua e là si scorgono accenni di strade romane in luoghi ove non passa più alcuno e tracce disseccate di torrenti invernali, simili, quando si vedano di lontano, a grandi strade battute e frequentate, mentre non sono che il letto deserto di un'onda tempestosa trascorsa come il popolo di Roma. Rari son gli alberi, dovunque s'alzano rovine di acquedotti e di tombe: rovine che sembrano le foreste e le piante indigene d'una terra composta dalla polvere dei morti e dai ruderi. Spesso in un gran piano ho creduto vedere ricche messi; avvicinandomi ho scoperto erbe avvizzite. A volte, sotto queste sterili messi si distinguono i ricordi d'un'antica coltivazione. Ma niente uccelli o contadini o lavori rustici, o muggiti di o villaggi. Un piccol numero di fattorie scalcinate s'ergono su la nudità dei campi; le finestre e le porte ne son chiuse, non vi escono né uomini mé rumore né fumo. Una specie di selvaggio seminudo, pallido e minato dalla febbre, custodisce queste misere capanne, come gli spettri che, nelle nostre storie gotiche, proibiscono l'entrata dei castelli deserti. Si direbbe davvero che nessun popolo ha osato succedere ai padroni del mondo nella loro terra nativa; e che questi campi son tali quali li ha lasciati il vomere di Cincinnato o l’ultimo aratro di Roma.
Dal mezzo di questo terreno incolto, cui domina e attrista ancora un monumento chiamato dalla voce popolare la tomba di Nerone, s' la grande ombra della Città Eterna. Decaduta dalla sua potenza terrestre sembra aver voluto isolarsi nel suo orgoglio, si è disgiunta dalle altre città del mondo, e, come una regina scesa dal trono, ha nobilmente celato nella solitudine le sue sventure. (it) |