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Gli africani, secondo una formula retorica, hanno preso in mano il loro destino, non sono più oggetti trascurati dalla storia, sono diventati soggetti, perlomeno lo sono diventati i loro capi, non sempre gli individui: e il continente sembra sgretolarsi: traballano, si decompongono gli Stati nati dalla decolonizzazione; Zaire, Nigeria, Somalia...: come se il modello occidentale sul quale sono stati ricalcati non corrispondesse alla realtà africana. C'è l'incapacità di adeguarsi alla "civiltà" ereditata dal colonialismo, l'incapacità di riesumarne una africana, per poi adattarla ai tempi; e c'è, al tempo stesso, un rifiuto totale, indiscriminato, più o meno inconscio, che si esprime attraverso lo sciupio, la distruzione, il saccheggio, il massacro. L'Uganda è un'eccezione. Il paese è stato prima dilaniato da una lunga, estenuante guerra civile, dominata nelle sue varie fasi da due uomini - Amin Dada e Obote - che incarnavano sia l'incapacità, sia il rifiuto di cui si è parlato. Poi è stato investito dall'epidemia di fine secolo. Nonostante queste sciagure esso dimostra adesso un equilibrio e una capacità inventiva straordinari. (it) |