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Alla Ferrari arrivò nel 1996, dopo due vittorie Benetton precoci e travolgenti. Noi, venuti su con Senna, non è che lo guardassimo con simpatia. Imparammo a rispettarlo prima, ad ammirarlo poi. Lavoravo, in quegli anni, in coppia con Pepi Cereda. Era un caro amico, prima che collega, ed era un tifoso di Schumacher della prima ora. Ci andava lui ad intervistarlo, così sempre, gara dopo gara. Sino alla fine. Perché Pepi si ammalò gravemente e ci ha lasciati con una rapidità dolorosissima. Smise di seguire i Gran Premi e Schumacher chiese come mai, dove fosse. Lo presi da parte, gli spiegai. Gli dissi che Pepi, porcapaletta, non sarebbe più tornato a vagare per i box. Lui volle il numero di telefono del nostro amico. Lo chiamava, la sera, dopo le prove, lo fece per molti giorni. Pretese informazioni dettagliate sulla malattia e nelle corse successive fissavamo un appuntamento il giovedì pomeriggio, per parlarne, a costo di apparire come due cospiratori. Era autenticamente coinvolto, sinceramente vicino. Quando Pepi volò via, alla vigilia del Gran Premio del Belgio 2001, fu difficile per me andare avanti. Mi diede conforto, fu meraviglioso. E a Pepi dedicò la vittoria il giorno successivo, mentre facevo fatica a tenere in mano il microfono, preso da una struggente commozione. Le persone, ecco... le persone si rivelano prima o poi. Perché parliamo di un uomo importante, nascosto da un pilota immenso. (it) |