Mention305230

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so:text Mi era arrivata la voce dai primi di gennaio che gli ultranazisti ungheresi volevano rastrellare tutti gli ebrei del ghetto internazionale per portarli al ghetto comune, chiuderli dentro, dare fuoco al ghetto, e uccidere quelli che tentavano di scappare. C'era già un muro intorno. Io non credevo a una cosa del genere perché mi sembrava un'enormità, un'atrocità enorme. Non ci credevo. Però, una bella mattina, ho visto passare una colonna di ebrei portati verso il ghetto che era lì a trecento metri. Ho domandato chi erano, e mi hanno detto che erano i portoghesi, ebrei ungheresi protetti dalla legazione del Portogallo. Durante la notte - credo le due di notte - era venuto in legazione un inviato della legazione portoghese: mi chiedevano che assumessi la protezione degli interessi portoghesi perché lui non ce la faceva più. Quando la mattina ho visto passare questa colonna di ebrei ungheresi protetti dalla legazione portoghese, ho cominciato a capire che qualcosa stava succedendo. E così ho scritto una lettera a questo ministro Vajna, dicendo che ho sentito queste voci e sono sicuro che lui, come ministro dell'interno e responsabile civile e militare della capitale assediata, non avrebbe permesso una cosa del genere. Quello non ha risposto. Allora mi sono presentato lì dove lui aveva la sua sede, nel sotterraneo del municipio di Budapest, che è un grandioso edificio, con un sotterraneo spazioso con uffici, e lì ho trovato Wallenberg, lo svedese, e Zürcher lo svizzero, ai quali ho detto "adesso io vado dentro e poi vi saprò dire". Sono andato da questo signore, il quale mi ha detto chiaro e tondo che lui aveva intenzione di fare una cosa del genere. Io ero sbalordito. Pensavo dentro di me: "ma questo qui proprio sta diventando matto, lui è ministro degli interni, è responsabile civile e militare della capitale assediata, come fa a pensare di fare una strage del genere?". Penso che ci fossero dentro nel ghetto sessantamila , più trentamila che venivano dalle case protette, insomma: si trattava di ammazzare un centinaio di migliaia di persone, oltre che distruggere la parte storica della capitale. E lui a un bel momento anche piangeva, perché gli ho fatto questo discorso sulla religione, la morale, tutto il benessere futuro del popolo magiaro e via di questo passo. Niente. All'ultimo momento mi è venuto in mente di fargli una specie di ricatto. E allora gli ho detto che se entro quarantottore il governo spagnolo non avrebbe ricevuto questa assicurazione che tutto procedeva secondo gli accordi, avrebbe proceduto all'internamento e alla requisizione di tutti i beni dei tremila e oltre cittadini ungheresi che si trovavano in Spagna - saranno stati cento... E che avrebbe poi chiesto al governo brasiliano e al governo uruguaiano - o paraguaiano, non ricordo più - di fare altrettanto. "E" - ha detto - "come può un governo amico come lo spagnolo farci una cosa del genere?". "Amico?" - ho detto io - "come può essere amico se lei sta andando contro quelli che sono i desideri del governo spagnolo, lo spirito umanitario, religioso". Per farla breve: ha ceduto. Ha detto "va bene, tutti gli spagnoli saranno salvaguardati". "E no", ho visto che il momento era buono e ho detto, "non solo gli spagnoli, ci sono gli svizzeri, ci sono gli svedesi, i portoghesi e i vaticani; fuori che attendono c'è Wallenberg lo svedese, Zürcher lo svizzero, e loro pretendono la stessa cosa; ma adesso la pretendo io per essere tranquillo, perché non avvengano confusioni". Insomma: sono rimasto d'accordo che non avrebbe più concentrato gli ebrei. E infatti la mattina dopo ho potuto constatare che le milizie Nyilask che circondavano il ghetto erano state allontanate. Quando sono uscito, ho riferito a Wallenberg e a Zürcher quello che avevo concordato, e ho detto: "adesso se voi andate dentro cercate di ottenere qualcosa di più, non so che cosa, roba da mangiare eventualmente... insomma non c'è altro da ottenere in questa situazione". In quell'occasione Wallenberg mi ha chiesto asilo nella legazione di Spagna. Io gli ho detto che l'avrei aspettato fuori e che l'avrei portato con la mia scorta di gendarmi e con la macchina che avevo. E lui mi ha detto "no, io verrò al pomeriggio perché questa mattina ho alcune cose da sistemare". "Va bene!". Non l'ho più visto. (it)
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so:description Citazioni di Giorgio Perlasca (it)
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