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Boris» si offre come un inesorabile ma buffonesco atto d'accusa contro la cialtroneria di molta serialità italiana. Per questo piace molto a chi odia «I soliti idioti», al sereno dandinismo, molto diffuso sui giornali : è rassicurante, ribadisce il primato e il disprezzo degli intelligenti sui buzzurri, è un atto di diffida nei confronti dei furbastri. Tutto bene, tutto giusto. Salvo che una lettura così — così ideologica — è riduttiva nei confronti della stessa serie. Ai dandinisti basterebbe dire: ma l'avete visto «30 Rock» di Tina Fey, che affronta lo stesso argomento ma con ben altra complessità metaforica e linguistica? Paradossalmente, per apprezzare «Boris», bisogna partire dal fatto che anche «Boris» è figlio di quella tv italiana che vive di budget risicati, di approssimazioni, di balle, di facilonerie, di romanità folkloriche, di indotto Rai. «Boris» è irresistibile proprio quando si aggrappa alla sua cattiva stella. (it) |