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La città di Sarajevo, in prevalenza musulmana, era accerchiata e bombardata giorno e notte. Altrove in Bosnia-Erzegovina, specie lungo il fiume Drina, intere città erano sottoposte a massacri e saccheggi in quella che i serbi stessi definivano «pulizia etnica». A rigor di termini, sarebbe stato più esatto parlare di «pulizia religiosa». Milošević era un burocrate ex comunista riciclato come nazionalista xenofobo, e la sua crociata antimusulmana, in realtà una copertura per l'annessione della Bosnia a una «Grande Serbia», fu condotta da milizie non ufficiali, operanti sotto il suo «rinnegabile» controllo. In queste bande, costituite di fanatici religiosi, spesso benedetti da preti e vescovi ortodossi, confluirono talvolta «volontari» di fede ortodossa provenienti dalla Grecia e dalla Russia. Esse si misero d'impegno a cancellare ogni testimonianza della civiltà ottomana, come nel caso particolarmente atroce di Banja Luka, allorché vennero fatti saltare con la dinamite parecchi minaretti storici; questo atto di barbarie non fu il frutto di una battaglia, ma venne perpetrato durante un cessate il fuoco. (it) |