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Ho un tenero ricordo. Una telefonata. Era il giorno – me lo lasci dire con poche parole –, era il giorno in cui gli Alleati stavano entrando in Roma. Se non erro, era il 4 giugno del 1943. Io, come Capo di Gabinetto del Ministero della Cultura Popolare, avevo le notizie attraverso le nostre stazioni di intercettazioni – allora non c'era la televisione – intercettazioni radio, e quindi potevo seguire le notizie via via che esse si svolgevano, e Mussolini telefonava – non a me personalmente – al Ministero, per sapere le notizie. Quel giorno telefonò a me personalmente. Si metta nei miei panni: io ero giovanissimo, per me Mussolini era tutto. Io tremavo, quando mi dicevano: «Il Duce al telefono, il Duce al telefono!». La sua telefonata fu dura, tagliente, la prima. «Almirante, che notizie mi date?». E gli diedi le notizie. Poi, una seconda telefonata, dopo un'ora: «Almirante, che notizie mi date?». E io gli diedi le notizie. Una terza telefonata: «Almirante, quali sono le notizie?». E poi: «Posso chiamarLa, posso chiamarVi ancora?». Quel "posso chiamarVi" mi aprì una voragine. Una voragine di disperazione e di tenerezza. (it) |