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Uscendo dal palazzo del Doge, sono entrato in un superbo palazzo. Ho attraversato un lungo colonnato, calpestato marmi di tutti i colori; si è aperta una porta immensa: ero dentro un ospedale.
Contiene milleduecento malati, distribuiti nelle diverse sale: là gli uomini, qui le donne; là le ferite, qui le febbri. Ho creduto di vedere la morte vagare in mezzo a questi malati, che colpiva da ogni parte, a caso, con la sua falce invisibile. Uno sventurato è spirato davanti a me. I letti dei malati sono circondati dai loro parenti inteneriti che li consolano, che li confortano: c'è una madre accanto alla figlia; un marito accanto alla moglie. Almeno, in questo ospedale, mani sensibili e care possono chiudere gli occhi dei morenti.
Vi regna un ordine ammirevole, una pulizia perfetta, una cura estrema. Vi si guarisce.
Le statue di tutti i benefattori dell'ospedale sono distribuite nelle sale. Le persone riconoscenti possono, dal momento in cui le loro forze lo permettono, andare a bagnare di lacrime, senza dubbio molto dolci, le immagini dei loro dei tutelari.
Non so quale piacere mi tratteneva in questa dimora del dolore. (it) |