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Curva Z: come mai quei tifosi della Juventus nello stesso settore dei tifosi del Liverpool? E come mai un cordone di pochi poliziotti? Neppure il tempo di riflettere un attimo, e, 2 ore prima dell'incontro, cominciarono le cariche degli inglesi contro i nostri connazionali. Famiglie, e non ultras, miti e terrorizzate. Io ero al fianco di Enrico Ameri, per raccontare, via radio, la partita. Notai che la curva finiva in un punto in cui non era possibile, dalla tribuna stampa, scorgere se esistevano uscite di sicurezza. Vedevamo gli italiani indietreggiare, compressi uno sull'altro, sparendo in una zona d'ombra. Non lo potevo ancora sapere, ma quella macabra zona d'ombra era lo spartiacque fra la vita e la morte, e anche fra il mio passato e il mio futuro, fra il calcio-fiaba e il calcio-strazio, fra l'incantesimo del fanciullo e la disillusione dell'adulto. Si immolarono 39 persone, calpestate e soffocate. Per la prima, e unica volta, senza volerlo, mi trovai alle prese con un fatto di cronaca nera. Ma non uno qualsiasi, bensì l'Hiroshima del pallone, la "bomba atomica", nella storia del teppismo da stadio, che, quando esplode, cambia chiunque di noi. Era la fine del mondo, per chi, come me, sognava ancora a occhi aperti. (it) |