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Più o meno gli darà la stessa impressione che suscitarono le capanne di sterco e fango dei samburu a una dottoressa svizzera, inviata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità in Kenya. La accompagnavo, durante la micidiale carestia del 1984, a visitare i villaggi abbandonati dei pastori. Le mosche erano dappertutto. La signora arricciava il naso, mi guardava con rimprovero e criticava l'igiene dei samburu, gente che mette le vacche in casa per sentirsi bene con il mondo. A un certo punto trovammo un villaggio senza mosche. La dottoressa svizzera mi indicò le coperture delle capanne, che erano di plastica, ricavate dai teloni blu e gialli degli aiuti umanitari.
"Vede che se si impegnano riescono a tenersi puliti? Niente mosche qui", commentò.
"Mi stia a sentire", risposi, "niente mosche significa niente merda; niente merda vuol dire che le vacche sono morte; niente vacche, niente latte. Niente latte, tutti morti. Io preferisco la merda e le mosche, signora. (it) |