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Seppi la notizia dal telegiornale delle 13 e 30, una domenica di novembre, mentre ero a pranzo da amici. Molti di noi piangevano, tutti rimanemmo sconvolti come raramente mi ricordo mi sia capitato di cogliere, considerando quanto munita fosse già allora la crosta di indifferenza con la quale ci difendevamo dal mondo. Per quanto mi riguarda la morte di Pier Paolo Pasolini è uno degli avvenimenti più significativi e commoventi di questo secolo. E giusto o sbagliato fosse il suo populismo, corretta o esagerata la sua percezione del moderno come catastrofe antropologica, credo che nessun intellettuale o artista italiano contemporaneo abbia così fortemente affrontato l'epoca fino a farsene divorare, fino a distruggersi. Per queste ragioni, e per la nostalgia struggente che ho per la sua scrittura acuminata e accesa e perfino per il suo viso e la sua voce, mi chiedo se il vero e grande scandalo sia la sciatta negligenza con la quale si è indagato sulla sua fine, e non piuttosto il fatto che non esista una piazza o una strada o una scuola d'Italia dedicata al suo poeta, vissuto per le sue strade, anzi nel punto indeterminato, annichilente nel quale tutte le strade, perfino quelle di periferia, si interrompono. (it) |