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A volte il canto gregoriano sembra aver preso in prestito dal gotico i suoi lobi fioriti, le sue guglie frastagliate, le sue ruote vaporose, i suoi triangoli di pizzo leggero e sottile come voci infantili. Esso passa, dunque, da un estremo all'altro, dall'ampiezza del dolore all'infinità della gioia. Altre volte, proprio come la scultura, il canto gregoriano e la musica cristiana a cui ha dato vita si prestano per la gioia del popolo. Si associano alle gioie innocenti, alle risa scolpite nei vecchi portici. Così come nel canto natalizio Adeste fideles e nell'inno pasquale O filii et filiae, prendono il ritmo popolare delle moltitudini. Si fanno piccoli e familiari come i Vangeli, si sottomettono agli umili desideri dei poveri e gli danno un'aria di festa facile da ricordare, un veicolo melodico che li eleva a pure regioni dove le loro candide anime si prostrano ai piedi di Cristo misericordioso.
Creato dalla Chiesa, perfezionato da questa nelle scuole musicali del Medioevo, il canto gregoriano è la parafrasi fluida e in movimento dell'immobile struttura delle cattedrali. Esso è l'interpretazione immateriale e fluida delle tele dei pittori primitivi. È la traduzione alata, e anche la stretta e flessibile stola delle prose latine composte un tempo da monaci eletti, fuori del tempo, nei loro chiostri. (it) |