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Cosa ne sapeva, l'80% degli italiani che s'informava esclusivamente attraverso la televisione, delle lotte al coltello all'interno dei partiti, dell'inquietudine che, in Vaticano, accompagnava gli ultimi mesi di passione di papa Wojtyla, o delle segrete manovre ordite per infangare Prodi e Fassino nell'ambito del caso-bufala Telekom Serbia? Ne percepivano solo un'eco lontana, dottamente analizzata dai telegiornali e da Bruno Vespa, celebrata dalle consegne dei Tapiri d'oro e oscurata senza pietà dai veri appuntamenti irrinunciabili della vita nazionale: i quiz di Pupo, La vita in diretta, e una quantità di altri programmi che non si capiva più se fossero della Rai o di Mediaset. Anche gli omicidi li tenevano molto occupati, almeno quelli graditi alla televisione. Non tutti, infatti, risultavano popolari come il giallo di Cogne. Si parlò pochissimo, ad esempio, della fine senza un perché de diciottenne Federico Aldrovandi, pestato a morte su un marciapiede di Ferrara durante un controllo di polizia. Ci sarebbero voluti il delitto di Perugia e quello di Garlasco, per consentire alla patria informazione di scatenarsi a piacimento: quelli sì che erano omicidi interessanti, con belle ragazze coinvolte e tanta tanta morbosità da riversare sui dettagli delle indagini. Mica ci si scaldava più con poco. Ormai al pubblico non bastava un poliziotto che spara attraverso l'autostrada, o un nero ammazzato di botte sulla pubblica via. Quelli erano casi estremi, sgradevoli, inadatti ai format; il pubblico a casa voleva soprattutto immedesimarsi, foss'anche nei delitti, e ne pretendeva di sempre più complessi, pruriginosi e — a loro modo — pop: i più richiesti avevano al centro i segreti di una giovane coppia, e possibilmente dovevano accadere in una casa normale ma ariosa, come quella del Grande Fratello, che gli attrezzisti di Vespa potessero ricostruire senza troppe difficoltà. (it) |