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L'incanto della pittura di Vallorz è proprio qui, nelle piccole dimensioni, in questo modo di essere non uno schermo immobile, un quadro astratto o per così dire immateriale, come un'immagine proiettata davanti alla quale, a distanza determinata, l'occhio deve sistemarsi, ma di essere prima di tutto quell'oggetto fatto di legno, di tessuto, di pigmenti, di leganti che si tengono in mano, si rigirano e si percepiscono. Prima di essere affresco o quadro di storia appeso alla parete, l'opera era un piccolissimo frammento inciso o dipinto che tenevamo nel cavo della mano. Il miracolo della pittura – di una certa pittura, come quella che Vallorz ci propone – non è tanto che essa “dà da vedere”, come dice imprudentemente il poeta, ma piuttosto che “dà da mangiare”: nutre tutto il corpo attraverso quell'unica apertura che è l'occhio. (it) |