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È un errore pensare che starsene seduto in calma contemplazione sia cosa essenziale per la liberazione. La verità dello Zen si dischiude da sé dall'interno e non ha nulla a che fare con la pratica del dhyāna. Infatti si legge nel Vajracchedikā che coloro che cercano di vedere il Tathāgata riferendosi a lui come uomo in un qualche atteggiamento, quando sta seduto o quando è disteso, non capiscono ciò che fa di lui un Tathāgata, un Tathāgata essendo così designato perché non viene da nessun posto e non va in nessun posto, per questo è un Tathāgata. Non appare da un «donde» e non scompare passando altrove e questo è lo Zen. Quindi nello Zen non vi è nulla da raggiungere, nulla da capire; che cosa è, dunque, quello starsene a gambe incrociate a praticare il dhyāna? Alcuni possono pensare che per rischiarare le tenebre dell'ignoranza sia necessario un uso speciale dell'intelletto; ma la verità dello Zen è un assoluto, nel quale il dualismo non esiste e che non ammette una qualche condizionalità. Parlare di ignoranza e di illuminazione, di bodhi e di kleça , come termini di una antitesi insuscettibili ad essere risolti in una unità, non è mahāyānico. Il Mahāyāna condanna ogni forma di dualismo, perché il dualismo non esprime la verità ultima. Tutto manifesta la natura di Buddha; natura, che dalle passioni non è contaminata e che dall'illuminazione non è purificata. Essa sta al disopra di ogni categoria. Se volete vedere quale è la natura del vostro vero essere, liberate la vostra mente dall'idea della relatività e voi vedrete da voi stessi quanto essa è calma eppure piena di vita. (it) |