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La formula rituale pronunciata dagli sposi al momento del matrimonio dice: «Io... prendo te... come mio sposo e prometto di esserti fedele in ogni circostanza, felice o avversa, nella buona o nella cattiva sorte, e di amarti e rispettarti finché morte non ci separi» . Bisognerebbe insegnare agli sposi a modificare la formula e dire «finché morte non ci unisca». Sì, perché la vera, perfetta unità tra gli sposi si raggiungerà solo in cielo.
Ma cosa dire a quelli che hanno avuto un'esperienza negativa, di incomprensione e di sofferenza, nel matrimonio terreno? Non è per essi motivo di spavento, anziché di consolazione, l'idea che il legame non si rompe neppure con la morte? No, perché nel passaggio dal tempo all'eternità il bene resta, il male cade. L'amore che li ha uniti, fosse pure per breve tempo, rimane; i difetti, le incomprensioni, le sofferenze che si sono inflitte reciprocamente cadono. Anzi questa stessa sofferenza, accettata con fede, si convertirà in gloria. Moltissimi coniugi sperimenteranno solo quando saranno riuniti «in Dio» l'amore vero tra di loro e, con esso, la gioia e la pienezza dell'unione che non hanno goduto sulla terra. In Dio tutto si capirà, tutto si scuserà, tutto si perdonerà. (it) |