so:text
|
No, no, egli non voleva la felicità e la sazietà degli altri, – dirà Hesse nel Narziß, − dei compratori di pesce, dei cittadini, della gente affaccendata. Che il diavolo se li portasse! Ah, quel viso pallido e balenante, quella bocca piena, matura, d'estate avanzata, sulle cui labbra grevi era passata come una folata di vento e come un raggio di luna, quell'indefinibile sorriso di morte.»
Nessuno più di Hesse ha saputo leggere in questo sorriso l'ermetica corrispondenza di due volti, quello dell'Apollo di Veio e del Budda. Essi affiorano dai densi chiarori di un sole autunnale filtrato nelle pagine indimenticabili del Klingsor, sigillando in sé non l'agonia tempestosa di un forzato distacco, ma l'occulto presagio di un infinito ritrovamento, dove tutto è «in divenire, tutto in metamorfosi, tutto pervaso dall'anelito di divenire uomo, di divenir stella, tutto pervaso di nascita e di disfacimento, pieno di Dio e di morte. (it) |