Mention450362

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so:text L'universo, di cui Napoli è la metafora più appariscente, è una congrega di mostri, di idioti e di rifiuti. Tutti divorano, trangugiano, ingurgitano, ingollano, inghiottono, ingozzano, strippano, pappano, ruminano, rosicano, ripuliscono quello che c'è in tavola: pastiere e casatielli, polpette, maccheroni e raffioli, pastinache e foglie molli, piccatigli e ingratinati, franfellicchi e biancomangiare; Napoli è un'immensa città-torta, che Basile divora con gli occhi e coi denti. Mostri, nani, vecchie, sciocchi, idioti, ingordi e defecatori si raccolgono nei cinquanta racconti con un solo scopo. Vogliono farci ridere. Vogliono fare scoppiare nella malinconica Zosa, nelle narratrici e in noi che leggiamo, la risata immensa, a piena gola, a crepapelle, come in Rabelais e Flaubert, dionisiaca, assurda, grandiosamente fantastica, che uccide per sempre la nera pianta della Malinconia. Nel libro, Zosa ride e sposa il suo principe. Noi ridiamo? Non è certo che ridiamo alla fine. L'universo di Basile è così pesante, folto e inestricabile, che a volte ci sembra il fosco sogno delle streghe del Macbeth, che continuano a cuocere il loro brodo infernale. (it)
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so:description La luce della notte (it)
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