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Gentilissima Signora,
al solito si è venuto accumulando in me, dopo le sue amichevoli, fraterne lettere, il nembo dei rimorsi, sospinto dalla bufera ciclonica della vergogna.
Ho verso di Lei rimorsi infiniti; il senso d'una inciviltà che non mi è abituale, e che si spiega solo con quel corso di oscure angosce e di traumi che neppure avvertiamo, quasi, ma che ci privano d'una persuasione necessaria a compiere gli atti più sostanziali. Vivacchiamo così tra noie ed espedienti, respingendo la verità e la necessità. Perché? Non sono passati forse degli anni senza una pagina? E perché, se la pagina è la cosa più urgente, più mia? Perché andavo ad ogni inezia, a pagar la tassa, a ordinare il vestito, a far risuolare le scarpe, trascurando il «compito» l'unico e il più gradito? Se anche angoscioso. (it) |