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– Stai a dirmi in che maniera? Andar sotto padrone? Cercarmi un protettore? E come oscura edera che all'albero tutore s'appoggia arrampicandosi e leccandogli la scorza, potrei salir da furbo e non invece a forza? No, grazie. Dedicare, in ogni scartafaccio, dei versi ai finanzieri? Buttarsi in un pagliaccio, sperando di vedere, sul labbro di un ministro lo sbalzo di un sorriso, un po' men che sinistro? No, grazie. Banchettare ogni giorno da un pidocchio? Avere il ventre logoro dalle marce e il ginocchio più prestamente sporco, nel punto in cui si flette? Rendermi primatista, in dorso e piroette? No, grazie. Riconoscere talento ai dozzinali? Plasmarsi su ogni critica, che appare sui giornali? E vivere sognando "Oh, sento già il mio stile, percorrere le bozze del mercurio mensile"? No, grazie. Fare calcoli? Tremare? Arrovellarsi? Preferire una visita ad un paio di versi sparsi? Stendere delle suppliche? O farsi commendare? No, grazie. No, grazie. No, grazie. Ma cantare, sognare, ridere? Splendido. Da solo, in libertà. Avere l'occhio sicuro, la voce in chiarità, mettersi, se ti va, di sghimbescio il cappello, per un sì, per un no, fare un'ode o fare un duello. Fantasticare a caccia non di gloria o di fortuna su un certo viaggio a cui si pensa, sulla luna. Se poi viene il trionfo, ebbene, fatti suoi, ma mai, mai, diventare un come-tu-mi-vuoi e se pur quercia, o tiglio, davvero, non si è, se vuoi proprio non alto, ma farcela da sé.
– Di orgoglio e d'ironia tu te ne fai un proclama, ma, almeno sottovoce, dimmelo, che non t'ama.
– Taci... (it) |