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Interrogarci su una «politica» degli intellettuali è oggi importante anche perché viviamo in un momento in cui i cosiddetti «prodotti culturali», sono sempre più coinvolti nel consumismo. Sono spesso manipolati in vista di un successo immediato e labile che talora non ottengono o che dura lo spazio di un mattino. Si propongono spesso di urtare, irritare, scandalizzare per imporsi con il marchio di una novità assoluta, che è pura illusione. Assumono spesso la funzione e il valore di slogans destinati a incrementare lo spaccio di idee balorde e di fanatismi fittizi. E gli autori di essi non esitano a presentarsi sul palcoscenico, a recitare in costume, a dare lo spettacolo che ritengono più propizio al loro successo.
Una parte dell'amara tristezza che oggi pervade il mondo degli intellettuali è dovuta appunto alla coscienza della loro perduta o diminuita autonomia decisionale, del pericolo incombente di poter sopravvivere solo come strumenti di forze che apprezzino l'opera loro solo come mezzo occasionale di successo, da buttar via quando non riesce più utile. (it) |