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Si sente insomma che Gaber era attore: viveva quanto cantava mettendo in gioco una carica emotiva che in De André non c'è. De André rimane neutrale, racconta, quasi non interpreta. Dipende molto anche dalle diverse dinamiche del loro canto: quella di Fabrizio era monocorde, e questo implica che ascoltarlo sia quasi come leggere un testo scritto. Quanto lui canta ti arriva in sé: come se - paradossalmente - non ci fosse chi te lo sta passando. Gaber invece è il contrario. Si avverte quanto egli metta in gioco il suo essere umano. Prende il tema e lo racconta dal suo punto di vista, ti dà una vera interpretazione. Però avevano in comune una caratteristica bellissima: non hanno mai sposato una parte politica. Hanno costruito un pensiero libero, da anarchici libertari, direi. Che poi declinavano musicalmente in modo, anche qui, diversissimo: De André con i due riferimenti della canzone medievale, all'inizio della carriera, e poi della canzone etnica; Gaber in modo molto più ampio. Confrontarsi con loro è insomma interessante da ogni punto di vista, oltre che necessario. Il problema è che se mi chiedete quale eredità hanno lasciato ai cantautori di oggi, io temo di dover rispondere che gli artisti della mia generazione non hanno imparato niente da loro. (it) |