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La parola chiave qui è "facile". In tutte le geremiadi di Cioran c'è una minacciosa faciloneria. Non c'è bisogno di nessun pensiero analitico profondo, di nessuna particolare familiarità con l'argomento, né di lucidità, per pontificare sul "marciume", sulla "cancrena" dell'uomo e sul cancro terminale della storia. Non solo sono facili da scrivere, ma gratificano lo scrittore con il tenebroso incenso dell'oracolarità. Basta volgersi all'opera di Alexis de Tocqueville, di Henry Adams o di Schopenhauer per constatarne la drastica diversità. Sono maestri di una chiaroveggente tristezza non meno totalizzante di quella di Cioran. La loro interpretazione della storia non è più rosea. Ma le ragioni che adducono sono scrupolosamente argomentate, non declamate; sono pervasi, a ogni nodo e articolazione delle idee proposte, da una percezione esatta della natura complessa e contraddittoria delle testimonianze storiche. I dubbi espressi da questi pensatori, le riserve che accompagnano le loro stesse convinzioni, rendono onore al lettore. Non pretendono un'ottusa acquiescenza o un'eco compiacente, ma un ripensamento e una critica. (it) |