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Una delle asserzioni più antiche del pensiero greco sull'essere dell'ente suona: Tὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἶναι.Questa affermazione di Parmenide significa: rientra nell'essere, perché da esso richiesta e determinata, l'apprensione dell'ente. L'ente è il sorgente e l'aprentesi, ciò che, come essente-presente, sopravviene all'uomo quale essente presente, e gli sopravvive come all'ente che si apre all'essente-presente nel mentre lo apprende. L'ente non diviene essente per il fatto che l'uomo lo intuisca nel corso della rappresentazione intesa come percezione soggettiva. È piuttosto l'uomo ad esser guardato dall'ente, cioè dall'autoaprentesi all'esser-presente in esso raccolto. Guardato dall'ente, compreso e mantenuto nell'aperto dell'ente, sorretto da esso, coinvolto nei suoi contrasti e segnato dal suo dissidio: ecco l'esssenza dell'uomo nel periodo della grandezza greca. Ecco perché questo uomo, per attuare la sua essenza, deve raccogliere e salvare l'aprentesi nella sua apertura, deve coglierlo, salvaguardarlo, e rimanere esposto alla dilacerazione del disordine . L'uomo greco è in quanto percepisce l'ente; di conseguenza, nella Grecità il mondo non può divenire immagine. (it) |