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Ciò che i Taliban stanno facendo, scegliendo proprio un bambino per realizzare i loro rituali di morte, non è assolutamente un atto di matrice tribale, ma l'invenzione di un orrendo rito di passaggio attraverso la violenza e la produzione della morte. E si deve sottolineare che quei riti di morte non hanno nulla a che fare con l'Islam: sono un prodotto della follia umana che ricorda i riti di morte dei Khmer rossi del regime di Pol Pot che utilizzavano bambini per uccidere adulti; perché il totalitarismo ha la capacità di annientare l'essere umano. Quel rito di passaggio cancella definitivamente la gerarchia fra il mondo dell'infanzia e il mondo degli adulti; è un rito di morte che ha la funzione di esprimere un'unica cosa, la sottomissione all'ordine talebano – per i Taliban, l'ordine di Dio – che è superiore a tutto ed esercita la sua sovranità in modo totale, arrogandosi il diritto di rubare a una persona la vita, l'infanzia, l'adolescenza, semplicemente perché la persona non esiste in quanto tale, non esiste la persona con le sue emozioni, le sue gioie, le sue paure; la persona è solo un oggetto, uno strumento dell'ordine imposto che ha già deciso per te, ha deciso se sei puro o impuro, se sei un vero musulmano o un falso musulmano, e così via. Ma, lo ripeto, tutto ciò non ha nulla a che fare con la violenza di tipo tribale che etnografi e antropologi hanno mirabilmente descritto tra '800 e primo '900. Ciò cui assistiamo è il frutto di una malattia che trasforma la morte della cultura in cultura della morte, una malattia che si è sviluppata all'interno di una parte del mondo musulmano, schiacciata da una realtà mondiale che alla fine non può controllare perché comunque la libertà e la dignità saranno sempre più forti della barbarie. (it) |