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Un quarto di secolo dopo il martirio del Giappone, l'Occidente democratico putrefatto dal contagio di Marx, di Freud, della rinata Sinagoga e della Chiesa di Giuda, viene preso da un'infatuazione ignorante e sordida meno per il Buddhismo di "esportazione" che per uno dei suoi aspetti più sublimi, cioè lo Zen. È impossibile dire quali aberrazioni siano derivate da questa parola. È stato giustamente detto che il Buddhismo era destinato a morire in India, se fosse stato abbandonato alle proprie risorse e non fosse penetrato in Cina, dove rifiorì in modo tanto sorprendente quanto ammirevole. Il Buddhismo mâhâyana a contatto col pensiero cinese si divise: da una parte, secondo le dottrine dello Zen , che fecero appello ai lati pratici e intellettuali della forma mentis cinese, e dall'altra, secondo i nuovi principi del Jôdo, o dottrina della "Pura Terra", che favorirono i bisogni spirituali della mentalità cinese. Queste dottrine e principi, fin dall'XI secolo, trovarono la sostanza ad essi più adatta nell'animo giapponese. Questa forma di Buddhismo è incontestabilmente uno dei più alti metodi dello spirito umano ed una delle più perfette discipline che l'uomo abbia creato per uscire da sé stesso, dimenticando il labirinto delle sue contraddizioni. È stato scritto, non a torto, che tutti gli altri "sentieri" – religiosi o filosofici – girarono intorno alla "montagna", ma lo Zen, simile ad una strada romana, ride di vani ostacoli e va in linea retta dai piedi alla cima della montagna. (it) |