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Dalle inchieste che Ottone concordava coi redattori più arrabbiati e più pietosi veniva fuori un cupo affresco medievale. I treni non erano più treni, ma "veicoli per deportati". Le stazioni non erano più stazioni ma "bolge dantesche". Il colera del napoletano non era più una malattia, ma "la fase acuta che mette in risalto il male cronico della nostra società". L'industria non era più l'industria, ma un moloch avido di carne umana che «continua a ferire e uccidere l'operaio». Il sistema capitalistico veniva raffigurato come la metafora del sistema tout court e bollato col marchio di «istigazione a delinquere». Il mondo del lavoro appariva un vivaio di microbi portatori di «paralisi flaccida, silicosi, polinevrite, asbestosi, saturnismo». I delinquenti non erano più tali, perché vittime della società, mentre quelli veri indossavano «il camice bianco negli ospedali psichiatrici», oppure dirigevano «da una poltrona di velluto rosso i desperados della lupara». Altri ancora, dai loro grattacieli in vetrocemento, erano puntigliosamente intenti ad «avvelenare l'aria, l'acqua, il cibo». L'Italia appariva come inghiottita da un cataclisma di dimensioni apocalittiche. (it) |