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La poesia di Galileo non ha bisogno di uscire dal vero scoperto dalla scienza per alimentare l'eterna virtù di miti e di favole che consola la vita.
L'immaginazione è come sopraffatta dalla materia osservata, che già per se stessa è una materia poetica, anzi la poesia per eccellenza, il poema di Dio. Lo stupore della fantasia, in un religioso ricercatore del vero, accompagna ogni scoperta. Perché la materia scientifica di Galileo è l'epica, la drammatica e la lirica dell'universo, nei suoi arcani, nel cuore stesso della perenne creazione: ove si formano le cose e le parole: spazio, tempo, vuoto, abisso, sfere, etere, vento, fuoco, flusso e riflusso; il moto e la forza; le oscillazioni e le vibrazioni; il peso dell'aria; la luce e le ombre e le prospettive; luce d'astri, di specchi, di metalli; monti lunari, trasparenze di astrali meduse; eclissi: «la luna immersa nell'ombra della terra»; colori, suoni, odori, sapori, tatti; fluidi; calamite; moti di cieli, di acque, di gravi; moti dell'aria sulla terra scabrosa ed aspra o sui mari lisci; le macchine che armano i sensi e l'intelletto; la geometria con circoli triangoli e linee iscritta nelle cose, i numeri diventati oggetti drammatici. Questa materia scientifica è amata come la divina poesia: e la scienza astronomica è una operosa scoperta di immagini e ritmi che sono le espressioni corporee dell'universo. I riti del sole, della luna e degli altri pianeti nel coro dei mondi, la liturgia delle maree e dei venti, dei suoni e dei colori e delle tempere, sono le strofe del divino poema che egli apprende; perciò il suo racconto ha il tono stupito e talvolta sfavillante dell'interna gioia di chi assiste alla creazione del mondo.
E qui è il segreto dello stile olimpico, tanto concreto e tanto favoloso, di Galileo. (it) |