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Il passaggio del ventennio fascista ha deliberatamente portato nella disciplina dei reclusori, colla riforma della legislazione penale e dei regolamenti carcerari, un soffio di gelida crudeltà burocratica e autoritaria, che senza accorgersene sopravvive al fascismo.
Se oggi nella stampa è diventato un episodio ordinario di cronaca nera, che lascia indifferenti i lettori, il fatto di detenuti che soccombono alle sevizie inflitte loro nel carcere, si deve ringraziare ancora quel celebre art. 16 del Codice di procedura penale del 1930, che garantendo praticamente l'impunità agli agenti di pubblica sicurezza «per fatti compiuti in servizio e relativi all'uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica», costituiva una specie di tacita istigazione alla tortura. (it) |