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L'abito dannunziano di costruirsi tutto dall'esterno, cercando se stesso negli altri, appropriandosi e riducendo a un comune denominatore le diverse fonti ha fatto sì che l'opera complessiva del poeta presenti l'aspetto d'una monumentale enciclopedia del decadentismo europeo. Qualcosa di simile aveva tentato il Wilde, ma il Wilde, mimetico passivo, non possedeva il potere dannunziano di dare unità alla vasta macchina. Questo potere dannunziano, che poi è la stessa cosa della sua ispirazione, è null'altro che la «carnalità di pensieri», il dono di conferire a ogni pensiero «un peso di sangue», il dono del Verbo, che il D'Annunzio possiede a un grado per lo meno eguale del grande francese che gli fa riscontro per il periodo anteriore, Victor Hugo. A voler compendiare in una formula Hugo è il D'Annunzio del romanticismo, D'Annunzio il Victor Hugo del decadentismo. (it) |