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A breve distanza dal Dracula di Coppola – i due classici mostri viaggiano spesso in coppia – un'analoga operazione di ritorno alle fonti, per una versione "definitiva", viene tentata anche con Frankenstein. Diversamente da Coppola, Branagh sembra realmente rispettoso dell'opera di Mary Shelley e cerca di coglierne l'essenza romantica, nel confronto disperato e terribile tra creatore e creatura. Ambientazione e costumi risentono della scelta meticolosa di Branagh e sono impeccabili. Eppure, l'insieme non funziona. Verboso e tonitruante, il film si rivela lento, lungo e poco coinvolgente. Si capisce l'intento di superare le strettoie del genere creando qualcosa di culturalmente elevato, ma proprio questo atteggiamento di supponenza nei confronti di un genere, evidentemente ritenuto minore, è l'errore più grave, riflettendosi in una tronfia solennità, che vorrebbe far assurgere il framma ad altezze shakespeariane, ma fa solo rimpiangere la sarcastica asciuttezza di Terence Fisher e della Hammer. Non brutto, ma sostanzialmente superfluo. (it) |