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Anche le verità lapalissiane hanno gradi di approssimazione. Dipendono da un suggerimento di pronuncia, da un'appoggiatura di voce. Nel maggio del 1945, Cesare Pavese scriveva: "va da sé che Muscetta è Muscetta". E intendeva una preminenza d'affetto, più volte riconfermata. Fino al desiderio ultimo, quando il suicidio era già all'orizzonte, nell'estate del 1950, di "rivedere il... dolce viso vellutato" dell'amico, mentre gli chiedeva da lontano: "Ti piace la vita?". C'è un assieparsi di memorie, nella lettera; e una strizzatina di bella malinconia, nel sottaciuto rimando a una cerchia complice di amici presso i quali Muscetta era, pur con tutte le sue "mene lupesche" e le vantate "capacità di litigio", il Moneta di "dolce grassezza" e di "vellutata" pelle dell'Orologio di Carlo Levi... (it) |