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E Rea parlò, la Dea dal morbido velo, a Demètra: | «O figlia, vieni: Giove, signore del tuono, ti chiama, | ché tu venga fra i Numi: concederti onori promette. | Su' persuaditi, figlia, né troppo covare lo sdegno | contro il figliuolo di Crono signore dei nuvoli, e il frutto | súbito fa' germogliare che in vita mantiene i mortali». | Disse così; né restìa fu la Dea dalle vaghe ghirlande. | Sùbito i frutti fe' germogliar da le zolle feraci, | e tutta si coprì la terra di fiori e di fronde. | Ed ai sovrani datori di leggi, pria ch'ella partisse, | a Dìocle, di cavalli maestro, a Trittòlemo, a Eumòlpo, | al condottiere di genti gagliardo Celèo, fu maestra | dei venerandi riti, a tutti insegnò celebrare | le pure orge: concesso non è trasgredirle o spiarle, | né farne ciancia: la voce rattenga l'ossequio a le Dive. | Tra gli uomini mortali, beato chi giunge a vederle; | ma chi restò profano, chi parte non v'ebbe, non gode | uguale fato, dopo la morte, nell'umido buio. || Ora, poi ch'ebbe tutto disposto, la Diva, all'Olimpo | novellamente salì, fra il consesso degli altri Immortali. | E qui, vicino a Giove signore del folgore, stanno | beate ed onorate. Felice su tutti, il terrestre | che queste Dee di cuore diligon: ché mandano tosto | alla sua casa opulenta, ché segga sul suo focolare, | Pluto, che agli uomini dà mortali le grandi ricchezze. (it) |