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Sempre vestito con un abito bianchissimo di sharkskin, lo status symbol del mondo ufficiale vietnamita, era un ometto rotondo rotondo; non riusciva a toccare il pavimento con i piedi quando stava seduto sulle eleganti poltrone nei saloni del palazzo di Gia Long, ex residenza del governatore francese. Sembrava fragile come la porcellana, con i tratti delicati e la pelle d'avorio, ma i suoi occhi neri emanavano una fede fanatica nella sua crociata. Fermandosi soltanto per accendersi una sigaretta dopo l'altra, parlava incessantemente con la sua voce dai toni alti, rievocando la sua vita con una serie interminabile di dettagli, sfiancante per il suo interlocutore. Una volta, dopo un intero pomeriggio passato ad ascoltare il suo monologo, uscii nel crepuscolo tropicale riflettendo sul fatto che, con un paese in crisi, il capo del governo potesse dedicare una mezza giornata ad un giornalista. Ma questo faceva parte del suo problema. Fuori, sul terrazzo, una folla di funzionari, ufficiali dell'esercito, diplomatici lo stavano aspettando con impazienza. I loro urgenti affari erano stati messi da parte per la lunga conversazione con me. (it) |