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Non c'era occasione in cui zio, scapolo impenitente, prima di uscire per la sua "notte brava" da play boy, non raccontasse le imprese del Grande Torino, il modo di giocare, entusiasmante e vincente, di Valentino Mazzola e compagni. A me sembravano fiabe bellissime, sempre con un roseo finale. Poi, arrivò la sera in cui lui smise di sorridere, e narrò di un pomeriggio cupo di maggio, di una collina di nome Superga, e dello schianto di un aereo. Io, all'inizio, pensai che zio non avesse voglia di raccontare, o che fosse cominciata un'altra favola più triste, popolata di orchi e di streghe. Poco alla volta, compresi che non era così. Dopo centinaia di partite travolgenti, la fiaba si concludeva con il grande "uccello", in volo da Lisbona a Torino, dalle ali spezzate. "Perché? Perché? Perché?" Per un bambino, non ancora in grado di capire cosa significava "destino", fu difficile accettarlo. Molto difficile. (it) |