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Più in generale, va detto che quando il diritto di proprietà cessa di esser privilegio delle due caste superiori e passa alle caste inferiori - dei mercanti e dei servi - si ha di necessità una virtuale regressione naturalistica, si restaura la dipendenza dell'uomo da quegli "spiriti della terra", che nell'altro caso - nel quadro della tradizionalità solare dei signori del suolo - "presenze" superiori trasformavano in zone di influenze propizie, in "limiti creatori" e preservatori. La terra, che può anche appartenere ad un "mercante", vaisha - i proprietari dell'èra capitalistico-borghese possono considerarsi come gli equivalenti moderni dell'antica casta dei mercanti - o ad un servo , è una terra profanata: non altra è dunque quella che - conformemente appunto agli interessi propri alle due caste inferiori, riuscite a strapparla definitivamente all'antico tipo dei "signori" - non vale più che come un fattore di "economia", da sfruttare ad oltranza in ogni suo aspetto con macchine ed altre escogitazioni moderne. Senonché, giungendo a tanto, è naturale incontrare gli altri sintomi caratteristici per una tale discesa: la proprietà tende sempre più a passare dall'individuale al collettivo. Si ha cioè proprio un ritorno dell'impero del collettivo sull'individuale, col quale si riafferma altresì il concetto collettivistico e promiscuo della proprietà proprio alle razze inferiori, come "superamento" della proprietà privata, come statizzazione, socializzazione e proletarizzazione dei beni e delle terre. (it) |