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Cavour, aggiungono i suoi detrattori, avrebbe dovuto rifiutare schiettamente la proposta di alleanza, non già mostrare di accettarla, e di celato usare tutti gli artifizi della sua volpina politica per mandarli a monte.»
Ma anche qui ci sia lecito ripetere: siamo sinceri e imparziali tanto verso una parte, quanto verso un'altra. Come si può, invero, pretendere Cavour che agisse schiettamente, e non pretendere nel tempo stesso che il Borbone agisse del pari?
In sostanza, niuno potrebbe negarlo, l'alleanza era tanto uggiosa al Borbone, quanto al conte di Cavour. Era fra essi una lotta di astuzia, di abilità, in cui la vittoria sarebbe toccata al più abile, al più valente, o, se vuolsi, al più fortunato dei due.
Ora, come in un duello, una finta che metta l'avversario fuori di guardia, e lo scopra per più facilmente ucciderlo, è ammessa dalle leggi della cavalleria, mentre nel corso ordinario della vita ogni finzione sarebbe rigorosamente bandita dalla condotta d'un uomo onesto, così non si può far carico al conte di Cavour, come non deve farsi carico al Borbone, se, nelle condizioni in che si trovarono l'uno rimpetto all'altro, usarono l'astuzia e l'inganno.
Cavour, s'è visto, aveva fatto tutti gli sforzi immaginabili per schermirsi di entrare in negoziati col Borbone; non riuscitovi, perché, tranne l'Inghilterra, tutta l'Europa lo richiedeva in termini più che imperiosi, cedette.
In altre parole, egli scese sul terreno, sul quale il Borbone lo sfidava. È in condizioni come queste che il Conte avrebbe dovuto rifiutare decisamente la partita? Quale uomo di senno, quale patriota avrebbe osato dargli un simile consiglio? Non credasi, del resto, che il conte di Cavour si trovasse nel suo elemento, seguendo una politica, come quella che abbiamo sin qui tratteggiata. Sappiamo dai suoi intimi che egli trattava questi negozi con vivo senso di repulsione. Ma dacché non si era sentito tanto forte da impedire l'imbarco della spedizione dei Mille, che anzi aveva dovuto agevolarlo e proteggerlo, Cavour sentiva il peso della tremenda responsabilità che si era assunta, e il dovere di salvare – ad ogni costo – gli interessi della Monarchia. Non potendo ritirarsi, malgrado il desiderio vivissimo che ne avrebbe avuto – perché in quelle congiunture il ritiro sarebbe stata viltà – Cavour, diremo col Villari, non poteva seguire altra norma di morale, che la sola possibile in quei tempi eccezionali; bisognava che egli sapesse essere a un tempo volpe e leone. Pretendere di poter essere in queste condizioni leale, significa volere, sin dai primi passi, affogare nel ridicolo, e procurare a sé stesso una certa rovina, senza giovare ad alcuno. (it) |