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Accadde a Trento, dove giunsi il pomeriggio di una bella domenica, nell'ora che l'afa cala, e gli italiani si alzano e scendono a passeggio per le strade. La città si adagia, vecchia e cadente, in un'ampia cerchia di monti di un bel verde lucido, che, come Dèi eternamente giovani, guardano dall'alto le labili fatiche umane. Vecchia e fradicia, le sta accanto la rocca che un tempo dominò la città, estrosa costruzione di tempi estrosi, con pinnacoli, sporgenze, merli e un'ampia torre rotonda, dove non abitano ormai che gufi e invalidi austriaci di guerra. Anche la città è estrosamente costruita, e uno straordinario effetto fa la vista delle antichissime case dagli affreschi sbiaditi, dalle figure dei santi mutilate, con quelle torrette, logge, finestrelle, e i frontoni sporgenti in guisa di palchi, che grigi pilastri indeboliti dagli anni, bisognosi anch'essi di sostegno, puntellano. Spettacolo triste, se la natura non rianimasse di nuova vita quelle pietre morte; se miti viticci non abbracciassero con tenerezza dolce i pilastri cadenti, come la gioventù la vecchiaia; se dalle scure finestre ad arco non occhieggiassero volti ancor più dolci di fanciulla, sorridenti al viaggiatore tedesco che vaga come in un sogno tra le rovine fiorite. (it) |