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Ascolto il vociare di tutti gli stranieri che mi circondano. Lingue differenti si sovrappongono in una specie di concerto fortuito, simile a certi esperimenti di Stockhausen degli anni Cinquanta. È la piccola babele di Milano che dispiega il suo canto policromatico, casuale e lo stesso armonico, un vociare di bassi, baritoni, soprano, un uso d'aria sotto l'accompagnamento del rumore del treno, della voce metallica che, ad intervalli prevedibili, annuncia il nome della stazione che arriva. E così per magia, mi rendo conto che il mondo è tutto uguale. Che non esistono differenze fra gli uomini. Siamo tutti vittime di questa vita. Agnelli sacrificali di una Pasqua che, ad ogni insorgere, ci trova soli, incapaci di renderci felici. (it) |