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L'insurrezione lombarda del 1848, la quale cominciò lieta per l'impeto unanime e per la concordia miracolosa degli istinti evangelici e cavallereschi, e finì nauseata dal vaniloquio delle fazioni, dall'inettezza dei governi e dalle cabale strategiche, non avea lasciato dietro di sé che memorie avvelenate ed inestricabili dissidii. L'Austriaco mostrandoci le ruine de' sobborghi milanesi incendiati da mani fraterne, e divulgando studiosamente i vituperii delle fazioni, e quasi compiangendo le intemperanze della natura italiana, veniva astutamente instillandoci il disprezzo di noi medesimi. Gli stranieri, e più di tutti i Francesi, che non volevano darci tempo né diritto di chiamarli falsatori di lusinghe e violatori di promesse, ci sentenziavano plebe tumultuaria e discorde, immatura a libertà. I Piemontesi, che col ritirarsi a dirotta in meno di dieci giorni dal Mincio al Ticino, attraverso l'attonita Lombardia, avevano sbalorditi i popoli e spezzati essi stessi le barricate salvatrici, riempivano il mondo di querele per la tiepidezza e per la viltà dei Lombardi, e per poco non gli accusavano conniventi agli Austriaci. (it) |