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Io sempre amai nella mia vita | la solitudine scontrosa, | ove in me stesso mi chiudevo, | temendo, a rivelar tristezza, | la pietà umana di destare; || non capirebbero i felici, | pensavo, il che a me stesso oscuro, | e i pensier neri non varrebbe | gioia amicale o appassionato | fuoco di baci a trarsi via. || Ai miei confusi sogni volli | dare espressione con i versi, | sì che, leggendo tali fogli, | mi conciliassi tu col mondo, | colle passioni tempestose. || Ma l'occhio tuo sereno e puro | allora mi fissò stupito, | scotesti il capo tu e dicesti | ch'era malata la mia mente, | da brama futile accecata. || credendo alle parole tue, | mi profondai dentro il mio cuore, | ma pure in esso non trovai | che fosse futile la mente | tendendo a un che di misterioso || a ciò di cui son dati in pegno | volta notturna e cori d'astri, | a ciò che ci ha promesso Iddio | e che comprendere potrei | cogli anni e le meditazioni. || Ma me un'ardente, una severa | indole rode dalla culla... | E, avendo solo provato il male, | morrò non conoscendo in cuore | pensiero né scopo meschino. (it) |