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Fin da fanciullo, Cavour aveva una passione ardente per la libertà. L'accoglieva come il principio maestro, che doveva risolvere tutte le difficoltà; e la sua passione era fondata sulla ragione, non era meramente un entusiasmo romantico, né una fiamma che brilla e si spegne. Così, il Cavour voleva applicare la libertà al commercio, all'educazione, alla politica, alla Chiesa. Ne sapeva bene i difetti ed i pericoli; sapeva che per avere i frutti perfetti della libertà bisogna che gli uomini siano colti, morali, civilizzati; che la libertà a metà conduce all'anarchia. Ma non si spaventava del rischio. I danni della vera libertà erano per lui preferibili ai benefizi del feudalismo in dissoluzione.
Per Bismarck, al contrario, la libertà era una chimera, quasi una pazzia. Sosteneva che nel governo i pochi periti devono dirigere. Copriva di sarcasmo, del quale era maestro, la pretesa che l'opinione della moltitudine, se si contasse a migliaia od a milioni, potesse avere alcun valore. Per conseguenza, disprezzava il suffragio, ed aborriva il suffragio universale. La libertà, diceva spesso, è la parola magica dei demagoghi. (it) |